venerdì, marzo 27, 2009

Dopo Fortapàsc

A volte i film ti lasciano l'amaro in bocca, per ben tre vole mi è successo ultimamente e continuo a dolermi per il mio circondario: Gomorra, in maniera strepitante e hollywoodiana, La Domitiana, in pochi frammenti e adesso Fortapàsc.

Allora vedi e ascolti le persone che ti parlano della malavita, di come questa si è infiltrata nella nostra società e di come le nuove generazioni dovranno conoscerla e combatterla.

Dopo aver sentito troppe volte le stesse parole e/o concetti mi viene un dolore forte al centro dello stomaco, una nausea forte, conati pronti ad esplodere.

Quando potremo iniziare davvero a cambiare le cose? Quando potremo iniziare a far capire che non è così che vogliamo vivere? Ma realmente NON vogliamo vivere così? E' difficile non vivere così, già nel nostro piccolo.

Si può combattere la camorra, da subito, basta ad esempio non darle direttamente soldi.

Quanti di quelli che presentano film come Fortapàsc e parlano in maniera così “dotta” della situazione politica locale prima di rincasare si fermano da una prostituta?

Quanti fanno uso di droghe? Quanti insomma con il loro lavoro, magari pienamente legale, finanziano la camorra?

Perché qualcosa si può già fare “amici miei”, da subito, da stasera. Perdere l'abitudine, così diffusa tra noi giovani/non giovani, di farsi le canne, di tirare cocaina, di iniettarsi eroina o quel che sia.

Non si tratta di perbenismo, non si tratta di moralismo, io la vedo in maniera diversa.

La droga era forse un tempo anche una forma di protesta, una forma di ribellione, negli anni 80 era pure di moda (come diceva anche Pazienza), ma oggi è semplicemente aderire alle regole che ci stanno intorno.

Qui non si tratta di problemi quali la liberalizzazione, si tratta di fonte di reddito certo per un certo sistema che si può iniziare ad attaccare da stasera, basta “solo” decidersi. Le domande da porsi sono queste: ”Quanto spendo in fumo al mese? E in cocaina? Quante volte in una settimana vado a puttane?”

lunedì, marzo 16, 2009

Un ritorno inatteso

Dopo anni, non ricordiamo neanche quanti, torniamo a suonare dal vivo (per 18 minuti).
Giovedì 19 Marzo apriremo la serata del Jarmusch, basso e chiatarra, niente batteria per ora (non ci sembra il caso di esagerare).
Noi aspettiamo.

venerdì, marzo 06, 2009

Quando qualcuno dice ciò che covi con le parole giuste

F: «La televisione è un organo
di potere economico, di scambio, come tutti gli
elettrodomestici. I potenti scambiano le ideologie,
stupide, fondamentale per fare il proprio comodo».
A: «L’essere privato di persone pubbliche diventa
l’unico modo per allacciarsi alla vita triste che
conducono coloro che la televisione la guardano.
Bisognerebbe sopprimere fisicamente chi ha inventato
trasmissioni nelle quali vengono viste altre
persone che si manifestano nella loro vita privata,
che poi è la nostra sventura. Idealizzare la vita
privata permette a chi è a casa di sentirsi come
chi è nel televisore: questa è una deportazione di
volontà moderna. È un Olocausto non meno grave
del nazismo».
F: «Perché adesso l’uomo è schiavo e consumatore,
vive nella realtà che lo divora. La fantasia non è
soggetta a regole, ognuno coltiva la sua. Il potere
cerca di veicolare la fantasia perciò penso che di
questi tempi sia una forma di lotta. Da qui la deportazione
delle illusioni».
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F: «La speranza è un sentimento cattolico, fa schifo».
A: «È spudoratamente cattolico».
F: «L’hanno inventato loro per scongiurare l’ambizione».

A:«La speranza sottintende che in questo momento
si può anche non fare perché c’è qualcosa
che manderà il meglio o il peggio. La speranza è
un anestetico inventato per calmare le ansie del
presente. Anche noi diciamo “speriamo”, ma utilizziamo
il termine come un intercalare. Noi non
speriamo in niente. Tutto può andare meglio, non
una cosa soltanto. Che sia una speranza integrale:
tutto deve andare meglio, non solo i cazzi propri».


Estratti da un'intervista di Francesco Villari ad Antonio Rezza (A:) e Flavia Mastrella (F:)


PS
D'accordo su tutto, tranne che sulla soppressione fisica, di chiunque.